Come ben sanno gli
abitanti di Roma e dintorni, nel territorio
vaticano sorge una farmacia aperta a tutti. Lungi da noi voler fare
pubblicità, ma gli acquisti in quella farmacia sono così frequenti da rendere
il problema delle spese mediche
all’estero un fenomeno che interessa migliaia e migliaia di contribuenti.
Se si pensa a spese mediche all’estero, infatti, non bisogna per forza
ipotizzare il milionario che si cura a Los Angeles: può anche essere il
ragioniere del piano di sotto che varca il confine solo per comprarsi
l’aspirina.
In linea di
massima, le spese mediche sostenute all’estero sono deducibili secondo le medesime regole previste per le analoghe
spese sostenute nel territorio del nostro Paese. Dato che però la
documentazione è redatta da soggetti non sottoposti a verifica da parte dei
nostri organi fiscali, occorrono dei
requisiti in più.
Innanzitutto, il
documento originale deve essere redatto in
lingua italiana o, in alternativa, in francese,
tedesco, inglese o spagnolo; in quest’ultimo caso, però, occorre allegare
una traduzione in italiano a cura
del contribuente. Se invece il documento è redatto in una lingua straniera
differente da quelle citate, la traduzione deve essere redatta sotto forma di perizia giurata, con tutti gli annessi
e connessi. Chiaro che in tale ipotesi il gioco vale la candela solo se la spesa
è davvero consistente.
In secondo luogo,
dal documento deve risultare in maniera chiara e precisa in cosa consiste la
spesa sostenuta: occorre dunque che si possano determinare la natura, la quantità e la qualità degli acquisti.
Infine, occorre
che sul documento originale sia presente il codice fiscale del contribuente. Ma niente paura: è consentito
aggiungerlo a penna, considerando che i registratori di cassa delle farmacie
straniere non sono certo obbligate a riconoscere la nostra tessera sanitaria.
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