Istituite quasi
vent’anni fa, l’addizionale regionaleall’IRPEF e la sua inseparabile compagna, l’addizionale comunale, non
presentano eccessive difficoltà di calcolo;
questo accade più che altro perché la loro base imponibile deriva direttamente
dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, e pertanto tutte le
complicazioni si annidano semmai in quella sede. Ma una volta che è stato
individuato il reddito imponibile ai
fini IRPEF, lo stesso valore vale anche ai fini delle addizionali.
Nel dettaglio, si
tratta di sommare tutti i redditi soggetti a IRPEF formati nelle singole
categorie e dal risultato lordo dedurre il valore fondiario attribuito all’abitazione
principale nonché le varie categorie di oneri deducibili, come i contributi
previdenziali.
È a questo punto
che la strada dell’IRPEF e delle addizionali si biforca: mentre infatti per la
prima entra in gioco un’autentica giungla di detrazioni ad abbattere la base
imponibile, per le seconde non accade nulla di tutto questo. Pertanto, le spese
sanitarie o quelle per ristrutturazioni edilizie, giusto per fare due esempi,
non hanno alcun rilievo ai fini delle addizionali.
Il calcolo dell’addizionale regionale, a questo punto,
è facilissimo: si tratta di moltiplicare
la base imponibile per l’aliquota deliberata dalla Regione. Allo stato
attuale l’aliquota massima consentita dalla legge è pari all’1,23%, ma bisogna considerare che già
oggi a molte Regioni è consentita a titolo straordinario una maggiorazione percentuale:
si tratta degli enti che presentano squilibri nei conti del sistema sanitario, fra
cui spiccano Campania, Calabria e Molise con l’aliquota record del 2,03%. Si
consideri poi che, a fronte del taglio dei trasferimenti statali, l’ipotesi
allo studio è di elevare il tetto massimo dell’aliquota regionale standard al
3,33% (maggiorazioni per squilibri sanitari a parte). Bene chiarire, infine,
che molte Regioni non prevedono un’aliquota unica bensì tassi crescenti in
funzione degli scaglioni di reddito.
Il discorso è
simile per l’addizionale comunale,
ma qualche differenza c’è. Innanzitutto, l’aliquota massima consentita dalla
legge è oggi dello 0,8% e non sono
previsti suoi futuri aumenti, almeno per il momento. Segnaliamo comunque che
per la città di Roma, data la sua specificità, è consentita come aliquota
massima lo 0,9%, effettivamente applicata dall’amministrazione capitolina per i
redditi superiori a 10.000 euro. La base
imponibile è la medesima dell’addizionale regionale, e anche in questo caso
molti enti prevedono aliquote differenziate per scaglioni di reddito (per le fasce
più basse è anzi prevista spesso l’esenzione dall’imposta).
La vera differenza
con l’addizionale regionale sta nel meccanismo di versamento: mentre per quest’ultima
esso avviene esclusivamente a saldo, per l’addizionale comunale il meccanismo
prevede anche un acconto. Pertanto,
nel 2014 i contribuenti italiani hanno versato l’intera addizionale regionale e
il saldo dell’addizionale comunale sul 2013, nonché l’acconto dell’addizionale
comunale sul 2014. Il meccanismo di
calcolo dell’acconto sta per andare verso una profonda semplificazione: dal
2015 esso sarà infatti pari al 30% del totale dell’imposta calcolato per l’anno
precedente, senza dunque più andare a controllare eventuali cambi d’aliquota
deliberate nel frattempo dai Comuni.
È comunque
consentito l’utilizzo del metodo
previsionale, e si può dunque ridurre spontaneamente l’acconto in funzione
del reddito che si prevede effettivamente di realizzare per l’anno in corso.
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