giovedì 30 ottobre 2014

Il TFR in busta-paga?



Concludiamo oggi il nostro viaggio per conoscere il trattamento di fine rapporto. Abbiamo analizzato a fondo la disciplina attuale: come si calcola, quanto è tassato, se è possibile chiedere anticipazioni o destinarload un fondo di previdenza integrativa
Oggi, invece, cerchiamo di capire cosa cambierà a partire dal 2015. Naturalmente per ora stiamo parlando soltanto di un’ipotesi di riforma, contenuta nel disegno di legge di Stabilità che deve ancora affrontare l’intero iter parlamentare. Tuttavia, considerato quanto si è impegnato politicamente il Governo sull’argomento, appare improbabile che vi siano significative variazioni rispetto alle intenzioni formulate.


Innanzitutto, va chiarito che la riforma interessa esclusivamente i lavoratori del settore privato: niente da fare per i dipendenti pubblici, per evidenti problemi di liquidità nelle casse dello Stato. Fra i dipendenti privati, inoltre, sono esclusi i lavoratori domestici e quelli del comparto agricolo, per le specificità che interessano questi particolari settori. Il disegno di legge, comunque, parla di “via sperimentale”: è perciò probabile che in un successivo momento il provvedimento sarà esteso anche a queste categorie oggi escluse, anche perché d’altro canto ci sarebbero evidenti problemi costituzionali legati alla disparità di trattamento.
Il trattamento sperimentale partirà dal marzo 2015 (con effetto retroattivo al mese di gennaio) e durerà fino al giugno 2018. Secondo le intenzioni, è solo a quel punto che si deciderà di mantenere il meccanismo per sempre oppure di modificarlo o addirittura di cancellarlo.


In secondo luogo, non si preciserà mai con tono sufficiente elevato che il TFR in busta-paga è previsto soltanto per coloro che ne faranno richiesta. È legittimo rifiutare il nuovo meccanismo, e non esiste alcun silenzio-assenso. Perciò, la novità interesserà solamente i lavoratori che ne faranno espressa domanda al datore di lavoro, e dopo aver maturato almeno sei mesi di anzianità. La richiesta, peraltro, una volta espressa diviene irrevocabile, ma concernerà solamente il TFR maturato dal 2015 in poi, ferma restando la destinazione scelta per quello maturato fino al 31 dicembre 2014.
Per coloro che desidereranno il TFR in busta-paga, è da mettere in conto che non ci sarà alcun trattamento fiscale agevolato: la retribuzione differita (ormai non più tale) sarà conteggiata insieme agli altri componenti reddituali e tassata in forma ordinaria. I primi studi prevedono una tassazione media più alta di circa il 10% rispetto al sistema agevolato oggi in vigore.


Le imprese che, in difficoltà di liquidità, potranno erogare il TFR in busta-paga solo con finanziamenti bancari, potranno ricorrere ad una convenzione con l’ABI che prevede un costo a carico delle stesse non superiore a quanto pagherebbero ai dipendenti a titolo di rivalutazione del TFR se si seguisse la strada ordinaria. In pratica, le imprese non dovrebbero pagare un euro in più rispetto a oggi. Un fondo speciale costituito presso l’INPS, infine, farà da garanzia a favore delle banche nell’ipotesi che l’impresa non riesca a rimborsare la banca.


venerdì 24 ottobre 2014

TFR: anticipazioni e previdenza integrativa



Continua la nostra indagine nel mondo del trattamento di fine rapporto. Dopo aver scoperto come si calcola e come viene tassato, oggi vediamo le possibili deviazioni dalla disciplina ordinaria.
Di quali deviazioni parliamo? Per esempio, secondo la disciplina ordinaria il TFR viene conferito – per definizione – alla fine del rapporto di lavoro. Tuttavia, anche in costanza del rapporto di lavoro la legge consente a certe condizioni di poter fruire parzialmente del TFR già maturato fino a quel momento. 


Sul punto ci illumina l’articolo 2120 del codice civile. Con una premessa: la legge fissa dei paletti decisamente stringenti, ma acconsente a che i contratti collettivi possano prevedere condizioni più favorevoli per il dipendente; pertanto, uno sguardo ai contratti collettivi non è da disdegnare.
Comunque, cosa dice la legge? Il lavoratore che abbia maturato almeno otto anni di anzianità può richiedere un’anticipazione pari a non più del 70% del TFR maturato fino a quel momento, ma solo se deve sottoporsi a spese sanitarie o chirurgiche di natura straordinaria oppure se deve acquistare (per sé o per un figlio) la prima casa di abitazione.
È una possibilità che va comunque centellinata: per l’articolo 2120, infatti, il lavoratore può richiedere l’anticipazione del TFR una volta soltanto nel corso dell’intera vita lavorativa.


C’è poi una seconda deviazione dalla normativa tradizionale cui vogliamo dar conto. Solitamente, la retribuzione differita viene tenuta da parte dalle aziende (che di fatto la possono utilizzare come una forma di improprio finanziamento a buon mercato) fino al momento in cui occorre erogarla al lavoratore; tuttavia, già da alcuni anni è possibile per il lavoratore chiedere una destinazione differente, e cioè chiedere che il TFR sia versato in una forma di previdenza complementare. È una delle misure adottate per incentivare il cosiddetto “secondo pilastro” previdenziale, che nel nostro Paese non è mai veramente decollato.
Entro sei mesi dall’assunzione, perciò, il lavoratore deve comunicare la sua scelta: trattenere il TFR in azienda o destinarlo ad un fondo complementare di propria fiducia. In caso di mancata scelta, il trattamento è destinato automaticamente al fondo individuato dal contratto collettivo di riferimento. La scelta di trattenere in azienda la retribuzione differita è comunque revocabile, mentre la sua destinazione ad un fondo è definitiva.


Nei soggetti con più di cinquanta dipendenti, tuttavia, la regola è diversa: in nessun caso il TFR è trattenuto in azienda, perciò se il lavoratore non decide entro sei mesi per un fondo previdenziale di propria fiducia, esso è destinato d’ufficio ad un fondo specifico costituito presso l’INPS.

lunedì 20 ottobre 2014

La tassazione sul TFR



L’ultima volta abbiamo chiarito cos’è il TFR e chi ne ha diritto. Vediamo ora, invece, cosa succede dal punto di vista tributario.
Fiscalmente, il trattamento di fine rapporto va suddiviso nelle sue due componenti di base: quello che concretamente il lavoratore accantona, anno dopo anno (il cosiddetto “TFR corrente”) e la rivalutazione che ogni anno è eseguita sul trattamento maturato nelle annate precedenti. Nell’articolo precedente abbiamo descritto quali procedimenti di calcolo bisogna eseguire per determinare entrambi questi importi.


Il discorso più semplice riguarda la rivalutazione. Essa infatti è tassata subito, man mano che matura: su di essa infatti si applica una tassazione immediata e definitiva pari all’11%; è il datore di lavoro che provvede a fare il calcolo e a riversare allo Stato l’ammontare dell’imposta. Il netto, invece, viene accreditato al lavoratore, e non sarà mai più tassato.
Per quanto invece riguarda il TFR corrente, invece, esso è tassato solo al momento in cui è corrisposto al dipendente, e perciò al termine della sua carriera lavorativa. È però prevista una tassazione separata, per evitare che questo importo, cumulandosi con gli altri redditi, finisca per andare a classificarsi fra gli scaglioni reddituali più elevati e soggiacere a un trattamento fiscale molto aspro.
La tassazione separata, in particolare, si determina secondo un procedimento molto tecnico che andiamo a spiegare. Bene premettere che si tratta delle regole applicate nella generalità dei casi; in alcune ipotesi, però (contratti a tempo determinato, lavoratori stagionali ecc.) possono intervenire delle variabili che mutano il meccanismo di calcolo.


Innanzitutto, occorre distinguere la quota maturata fino al 31/12/2000 rispetto a quella maturata successivamente, e alla prima dobbiamo sottrarre una detrazione di € 309,87 per ogni anno di lavoro fino al 2000 incluso. Sommiamo quindi queste due quote, le dividiamo per il numero degli anni di lavoro complessivi e moltiplichiamo il risultato per 12; quello che viene fuori da queste operazioni è definito “reddito di riferimento”.
Sulla base delle aliquote IRPEF vigenti alla data della corresponsione del TFR, poi, determiniamo l’imposta che virtualmente si applicherebbe al reddito di riferimento se si dovesse applicare una tassazione secondo le strade ordinarie. Quest’imposta virtuale la dividiamo per il reddito di riferimento e otterremo infine un’aliquota percentuale: tale aliquota è quella che utilizzeremo per tassare il TFR corrente.
Ma se pensate che il calcolo termini qui, vi sbagliate. Quello descritto, infatti, è solo il meccanismo che deve applicare il datore di lavoro per determinare la tassazione da applicare al TFR prima di corrisponderlo al lavoratore: ma questo è, in realtà soltanto un calcolo provvisorio.
Il conteggio definitivo, infatti, lo farà l’Agenzia delle Entrate, entro i quattro anni successivi. L’Agenzia determinerà infatti l’aliquota di tassazione media subita dal lavoratore nei cinque anni antecedenti, e quest’aliquota media è quella che si applicherà per determinare l’imposta definitiva sul TFR corrente. Perciò, potrebbero esserci dei conguagli rispetto a quanto già pagato (se sussiste una differenza superiore a 100 euro): conguagli a debito, con il lavoratore costretto a versare la differenza, oppure conguagli a credito, con la possibilità di fruire di un rimborso. 


La nostra indagine sul TFR, comunque, non termina qui. Prossimamente vedremo il discorso sulla possibilità di accantonare il trattamento ad un fondo previdenziale; i casi in cui il lavoratore può chiedere un anticipo sul TFR già maturato; e infine, vedremo di capirci di più sulle ipotesi di modifica oggi in discussione e che dovrebbero operare a partire dal 2015.